Se dialogare con il proprio desiderio serve a superare la dipendenza affettiva

06.12.2014 13:28

articolo pubblicato su

https://www.psicologionline.net/articoli-psicologia/articoli-sesso-amore/623-desiderio-dipendenza-affettiva

 

L’amore, amare, è trascendere se stesse se stessi, è un’armonia di emozioni e fisicità, un susseguirsi melodico di sentimenti di dipendenza, autonomia e interdipendenza, è reciprocità e benessere. Tutto ciò senza certo negare problemi e incomprensioni che non possono, purtroppo, non esserci in una coppia, problemi fonte spesso di sofferenza e dolore.  Ma tendenzialmente, a regnare è l’armonia e lo scambio.

Ma succede che a volte si altera l'equilibrio tra il dare e il ricevere, tra il proprio confine e lo spazio condiviso e l’amore, se ancora si può chiamare tale, diventa un inferno.

E’ il caso della dipendenza affettiva.

“La dipendenza affettiva è una forma patologica di amore caratterizzata da assenza cronica di reciprocità nella vita affettiva, in cui l'individuo, “donatore d'amore” a senso unico,  vede nel legame con un altra persona, spesso  problematica o sfuggente, l'unico scopo della propria esistenza e il riempimento dei propri vuoti affettivi." (Dott.ssa Barbara Corte, psicologa psicoterapeuta, “Ossessione d’amore, la dipendenza affettiva - https://www.supportopsicologico.org/articoli/dipendenza-affettiva-difficolta-relazionali.html).

Cosa prova intanto un dipendente? Una dipendente?  Disistima di sé, credere di essere inadeguati a meritare o mantenere un importante legame affettivo, dolore angoscioso o depressivo ad ogni separazione o possibile abbandono, tendenza ad assumersi le colpe nelle crisi di rapporto, bisogno di controllare la persona amata in ogni suo momento e in ogni suo movimento, così come anche in ogni suo pensiero. Non trascurabili sono la gelosia morbosa, ossessiva, la riduzione progressiva dei contatti affettivi e sociali a favore del rapporto di dipendenza, sottomissione caratteriale e tolleranza verso gli aspetti “negativi” della persona amata.

Ma dove origina la dipendenza affettiva?

Dinamiche famigliari senz’altro ma anche la società.

come se ne esce? Dialogando con il proprio desiderio dopo averlo riscoperto e valorizzato.

Del popolo dei dipendenti affettivi il 99 per cento sono donne. Perché? La dipendenza affettiva origina in dinamiche famigliari e relazionali senz’altro ma, la mia ipotesi è che spesso le radici sono anche sociali e quest’ultimo punto spiegherebbe il fatto che ci sono così tante donne affette dal problema.

Si comincia dalle dinamiche familiari che hanno portato la persona dipendente “…a costruirsi un’immagine di sé come di persona inadeguata, indegna di essere amata, dove il “termometro” della propria autostima è nella capacità di sacrificarsi per la persona amata”-  sostiene Leonardo Roberti, psicologo psicoterapeuta in La Dipendenza Affettiva (https://www.lrpsicologia.it/la-dipendenza-affettiva). Teniamto anche presente che molte donne, dipendenti affettive, hanno subito abusi sessuali, maltrattamenti fisici ed emotivi durante l’infanzia che non sono da sole riuscite ad elaborare.

Se dialogare con il proprio desiderio serve a superare la dipendenza affettiva

Ma anche l’autostima è complice del problema: una bassa considerazione di sè è complice della dipendenza affettiva e di questo problema sono soprattutto le donne a soffrirne.

Inoltre la dipendenza affettiva ha avuto  a che fare con un tipo di relazione familiareche svalorizza la bambina, non la fa sentire degna d’amore. Parlo al femminile perché qui la distinzione dei sessi entra in gioco. E’ più comune  che ciò avvenga con le bambine da sempre svalorizzate e a cui vengono instillati sensi di colpa e senso di inadeguatezza alla vita.

E arriviamo a parlare della Società. Siamo soggetti inseriti in un contesto, interagiamo con esso non ne siamo indifferenti: la cultura i mass media hanno un ruolo molto importante nella creazione del problema.

La misoginia ancor molto comune rimanda feedback negativi sulle donne, incidendo sulla loro autostima e favorendo quindi il problema. Inoltre media e tv riempiono la testa alle ragazzine che l’importante per una donna è essere bella, magra e farsi vedere, essere oggetto sessuale. Ma non basta: la cultura dominante che magari a volte si distacca dalla visione dei media fa vedere comqunque sempre una donna appagata e realizzata se fidanzata o sposata. Quindi da tutte queste cose sembra che una donna possa essere felice solo se fisicamente in un certo modo (colpendo l’autostima di chi non ha un corpo secondo i canoni imposti). Inoltre una donna può essere felice solo all’interno di una relazione di un matrimonio magari con dei figli.

Un feedback sociale che vuole raccontare e interpretare il desiderio di un soggetto come minimo lo confonde e gli fa perdere contatto con la parte intima di sé. E perdendo il contatto con se stesse è facile scivolare nella ricerca della felicità fuori di sè, e questo può avvenire benissimo nella ricerca della felicità nel partner.

Ma chi è l’Altro l’Altra?  La coppia appare in equilibrio. E’ una dinamica a due. Ma la il partner che “sceglie” di stare con una persona dipendente d’affetto, ha spesso anche lei lui  il bisogno di essere accudita o e di avere una relazione di tipo figlia-madre anziché alla pari, per dinamiche e problematiche familiari irrisolte. Oppure, al contrario, può trovarsi ad esercitare un ruolo di persona sfuggente per sentirsi così al centro dell’attenzione e compensare anche lui lei dei vuoti affettivi mai colmati.

La scelta di una un partner non disponible è tenuta a denti stretti per quanto possa sembrare assurdo perché ci si illude che prima o poi questa persona che crea le stesse dinamiche famigliari vecchie prima o poi cambierà riscattando il la dipendente. Oppure se la il dipendente cerca la felicità fuori di sé è facile che si incappi in situazioni altamente squilibrate.

Se per qualche ragione il legame finisce si ricercherà una persona con le stesse caratteristiche finchè non si riesce a spezzare il cerchio. E secondo Alice Mille (piotrków trybunalski, 12 gennaio 1923 – saint-rémy-de-provence, 14 aprile 2010) , psicologa, psicoanalista e saggista svizzera, alla base di tale scelta c’è quella che lei stessa ha definito “speranza distruttiva”: attraverso il la partner, si cerca in modo simbolico di trasformare un genitore tiranno in una creatura amorevole. 

“Non si vuole rinunciare  alla speranza che un giorno la il partner mantenga la promessa da lei percepita nei primi contatti e le mostri cos’è l’amore per cancellare  simbolicamente le umiliazioni subite  e negate nell’infanzia”-, sostiene lo psicoterapeuta Antonio Latorre (Amare da morire: le dipendenze affettive - (love addiction)- https://www.antoniolatorre.it/art.dipendenzeaffettive.html

Come se ne esce.

Intanto ci vuole una certa consapevolezza del problema e poi è necessario un percorso per riappropriarsi della  propria vita e della propria autonomia tramite  la riscoperta del proprio sé, la sua valorizzazione, imparando a riconoscere e a esprimere i propri desideri.

L’amore per se stesse i è la chiave che può portare a riappropriarsi della propria vita e rinarrare in positivo la propria storia relazionale; possibile trovare il coraggio di dire basta in nome di noi stesse i.

I sistemici ma non solo sostengono che noi troviamo il senso delle cose nelle narrazioni che facciamo riguardo le cose

Gianfranco Cecchin (nogarole vicentino22 agosto 1932 – presso brescia2 febbraio 2004) è stato uno psichiatra e psicoterapeuta italiano, fondatore - insieme a mara selvinipalazzoliluigi boscolo e giuliana prata - del movimento di terapia familiare sistemica oggi noto in gran parte del mondo come "milan approach".: “il mondo è come viene raccontato non più perché il racconto lo rappresenta in modo  corretto ma perché la retorica del narrato lo costruisce continuamente e continuamente opera in connessione con altre narrative negoziando in permanenza l’emerger del reale”.

In fondo come dicevano Maturana e Varela (biologi e fisosofi), “tutto cio’ che e’ detto e’ detto da qualcuno”.

Insomma la realtà non è indifferente al nostro sguardo, alla nostra narrazione delle cose, al nostro modo di porci e di agire.

Riscopriamo il nostro desiderio e valorizziamolo. Dialoghiamo con esso. E cambiamo sguardo  sulla realtà. E’ facile a dirsi ma non impossibile a farsi. E’ un passo che vale la pena di tentare.

E ogni cosa si sa richiedo sforzo fatica e spesso dolore.

amatevi, ma non tramutate l’amore in un legame. lasciate piuttosto che sia un mare in movimento tra le sponde opposte delle vostre anime. colmate a vicenda le vostre coppe, ma non bevete da una sola coppa, scambiatevi il pane, ma non mangiate da un solo pane. cantate e danzate insieme e insieme siate felici, ma permettete a ciascuno di voi d’essere solo.
(kahlil gibran)